Testi & ricerche

Marechiare: Salvatore di Giacomo e le sue donne

SALVATORE DI GIACOMO E LE SUE DONNE
Lui amava l’idea dell’amore, la bellezza dell’attesa, il fremito di un sentimento sospeso. Ma l’amore vissuto,
quello concreto, quello che si sporca le mani con la vita quotidiana, quello forse gli faceva paura.
Stammo a ‘na tavulella
Tutt’’e dduie. Chiano chiano
S’allonga ‘na manella
e m’accarezza ‘a mano…
Ma ‘o bbì ca dint’’o piatto
se fa fredda ‘a frettata?…
Comme me so’ distratto!
Comme te si’ ‘ncantata!…

Elisa Avigliano (Nocera Inferiore (SA), 13 ottobre 1879 – Napoli, 15 giugno 1962 )

Elisa Avigliano, fidanzata di Salvatore Di Giacomo, che aveva vissuto durante la sua permanenza a Lagonegro una delle fasi più intense del fidanzamento con il poeta napoletano. Elisa era nata il 13 ottobre 1879 a Nocera Inferiore (Salerno), dal magistrato Antonio Avigliano, consigliere di corte di appello e dalla baronessa Silvia Falcone, originaria di Capracotta, discendente di una famiglia di galantuomini che avevano sostenuto le idee liberali. Prima di sei figli, si era dedicata all’insegnamento dopo aver completato gli studi presso la scuola di magistero di Napoli: ebbe cinque fratelli Raffaele, medico, Alfonso, ufficiale di cavalleria, Roberto, ufficiale di artiglieria, Carlo, funzionario delle poste, Mario, avvocato. Salvatore aveva conosciuto Elisa nell’estate del 1905 quando lei lo aveva contattato per raccogliere notizie per la sua tesi di laurea proprio sulla poesia del cantore napoletano. Le prime frequentazioni erano avvenute nella stessa biblioteca “Lucchesi-Palli” dove Di Giacomo era il Direttore bibliotecario, lei, una brunetta alta e delicata, aveva ventisei anni e lui era già quarantacinquenne. Slanciata, molto bella, Elisa era all’epoca del tutto presa dall’amore per Salvatore, anche se la lontananza non la lasciava tranquilla e, a volte, era molto turbata da attacchi di gelosia; lei, immaginando chissà quali giri del fidanzato tra bar e ristoranti, dichiarava nelle sue lettere di soffrire per quelle frequenze mondane e per quella carica di vitalità e di esuberanza. A Elisa non piaceva neppure la grande passione di Salvatore per il teatro; in una lettera spedita da Lagonegro il 22 novembre 1912 aveva inveito contro quella sua ricerca spasmodica di gloria. Sperò a lungo che il fidanzato la raggiungesse a Lagonegro, nelle lettere, Elisa confidava a Salvatore, anche in modo minuzioso, tutti gli eventi legati al suo lavoro, rassicurandolo che tra le colleghe, «niente c’è di bello e di fresco! Mi lusingo perfino (modestia a parte) di essere io quanto c’è di meglio nella compagnia. Immagina un po’!». Elisa avrebbe lasciato dopo un solo anno la scuola “Settembrini”, partendo il 9 ottobre 1913 alla volta della sede di Benevento, ottenendo solo l’anno successivo il trasferimento a Napoli, forse per l’interessamento dello stesso Di Giacomo. Il loro fidanzamento avrebbe continuato ad essere caratterizzato da sentimenti contrastanti, tra passione e gelosia, per tutta la sua lunga durata di ben quindici anni circa: si sarebbero sposati a Napoli il 20 febbraio 1916, andando ad abitare in un appartamento a S. Lucia che lui aveva arredato nel tempo. Elisa sarebbe morta il 15 giugno 1962, quasi trent’anni dopo la morte di Salvatore, avvenuta il 4 aprile 1934. Tra l’altro, sino a quando il Croce non lo rivelò a lui stesso, ignorò le sue magiche facoltà di trasfigurare, come diceva Matilde Serao, in oro di poesia le vili e, sovente, piatte realtà di cui si faceva, con l’appunto e la fotografia, collezionista. Nei confronti dell’amore umano, della passione sofferta, Di Giacomo capì tutto e soffrì tutto: da poeta ma anche da estraneo. Nei suoi drammi teatrali, che sono drammi di desiderio, di violenza, di sangue, di vendetta, era, prima di tutto, lo spettatore.

Hèlene Bacaloglu-Densunsianu - (Bucarest 19 dicembre 1878- 25novembre 1947) .

Salvatore Di Giacomo,nell’autunno del 1908, vide per la prima volta nel salotto di Villa Pinto all’Arenella la scrittrice romena Hèlène Bacaloglu-Densunsianu. La nobildonna già aveva conosciuto, in passato, Ernesto Murolo, Matilde Serao e Roberto Bracco. tra l’inverno e la primavera del 1909 gli incontri fra i due furono quasi giornalieri e accadevamo presso la Biblioteca Lucchesi-Palli, diretta dal di Giacomo, ancora ai caffè Gambrinus, Corfinio , Calzona, presso la famiglia aristocratica Pinto e presso il Circolo Artistico e Politecnico in piazza San Ferdinando. Hèlène avevas studiato alla Sorbona di Parigi letteratura e lingua francese, Pubblicò poemetti, impressioni di viaggi, saggi critici, brevi romanzi e articoli di giornali. Nel 1908 intervistò Matilde Serao pubblicando l’evento su un giornale di Bucarest: “Adevarul” (La verità), La galanteria di don Salvatore e il grande fascino della scrittrice facevano precludere all’inizio di una vera storia d’amore. Dopo poco tempo volle presentare Hèlène all’amico filosofo Benedetto Croce: “ Ho parlato con Croce di voi, domani, se volete incontrarlo, verso mezzogiorno, io non ci sarò. Croce abita in via Atri n. 23. Di Giacomo, impegnato sentimentalmente con la signorina Elisa Avigliano, portava avanti un fidanzamento alquanto complicato, aveva già raggiunto i cinquanta anni.; la giovane Elisa, pur fra qualche titubanza gli restava fedele seguendolo senza procurargli soverchi fastidi. L’epistolario tra Salvatore ed Elena fu continuo ed affettuoso fino al maggio del 1909, quando la rumena gli manifestò apertamente i sui sentimenti. Da quel momento la situazione cambiò radicalmente; Di Giacomo fece di tutto per raffreddarne gli ardori, la storia ebbe termine dopo pochissimi mesi. Scriversi per i diciassette anni successivi, nonostante si incontrassero saltuariamente non furono sufficienti a un riavvicinamento : fu un lungo e tormentato addio! La Bacaloglu, agli inizi del primo ‘900, ritornata da Parigi, sposò al governo fascista l’insigne linguista Ovidiu Densunsianu, professore all’Università di Bucarest, dal quale, subito si separò. Visitò la Francia, Svizzera, Austria, Germania e Ungheria e infine giunse in Italia, dove arrivò nel 1908.Ella fu ardente nazionalista, collaborò al “Giornale d’Italia “ , alla “Idea Nazionale” e all’ “Eroica”. Fece amicizia con Grazia Deledda. Il suo attivismo politico la rese indesiderabile al governo fascista che nel 1924 la espulse dal paese.Finì i suoi giorni il 25 novembre 1947, a Bucarest. Gli restò nell’anima la passione per Salvatore Di Giacomo: tenne conferenze sulla sua opera, scrisse moltissimi articoli giornalistici traducendo in lingua rumena poesie, novelle e testi teatrali del Di Giacomo.

Olga Ossani, in arte Febea (Roma 24 maggio 1857- 11 febbraio 1933)

Nel 1887 che di Giacomo arrivò quasi a sposare Olga. La Ossani fu anche stata amante di Gabriele d’Annunzio. Olga Ossani nacque a Roma il 24 maggio 1857 da Carlo e da Maria Paradisi. Crebbe in una famiglia di patrioti impegnati nella lotta per l’unificazione dell’Italia. Nel 1862, per le loro idee, entrambi i genitori furono rinchiusi nelle carceri pontificie con la piccola Olga. Trasferirono poi la loro residenza a Napoli. Nel 1882, in seguito ad una relazione tenuta segreta, Olga divenne madre di un bambino che successivamente, riuscì, con uno stratagemma, ad adottare. A Napoli Olga Ossani iniziò a farsi conoscere nei salotti letterari e a scrivere presso testate locali e nell’estate del 1883 cominciò a collaborare per il quindicinale “Cronaca bizantina”. L’anno successivo il giornalista Edoardo Scarfoglio la introdusse al “Capitan Fracassa”. All’insorgere della epidemia di colera del settembre 1884, Olga si unì alla squadra di volontari della Croce Bianca restando lievemente contagiata. In quello stesso anno si trasferì a Roma dove conobbe D’Annunzio, con il quale ebbe una relazione sentimentale, e il giornalista Luigi Lodi che divenne poi suo marito nel 1885 dal quale ebbe quattro figli. Negli anni successivi intensificò la sua attività di giornalista collaborando a numerose testate. In quegli stessi anni acquistò con il marito la villa di Santa Marinella dove trascorreva i mesi estivi nella quale ospitava gli intellettuali del momento, tra cui Trilussa, Mascagni, Pirandello, D’annunzio e le sue care amiche Maria Montessori, Matilde Serao, Eleonora Duse e Grazia Deledda. Negli anni successivi Olga Ossani affiancò all’intensa attività giornalistica l’impegno attivo per i diritti delle donne. Con l’avvicinarsi della Prima Guerra mondiale i coniugi Ossani Lodi si allontanarono progressivamente dalla scena pubblica e nel dopoguerra la loro firma comparve sempre più raramente. Con l’avvento del fascismo, nonostante l’affetto e la stima di tanti amici, furono quasi dimenticati. Olga Ossani morì improvvisamente l’11 febbraio 1933, a Roma, pochi giorni prima del marito.

Anne Charlotte Leffler - (Stoccolma, 1 ottobre 1849 – Napoli , 21 ottobre 1892)

La scrittrice danese che fece avvicinare, oltre che conoscere ed approfondire, il teatro di Ibsen e la letteratura scandinava . Anne Charlotte Leffler nasce a Stoccolma nel 1849. Sorella del matematico Gösta Mittag-Leffler e una gran sostenitrice dei diritti delle donne. Il suo lavoro, ispirato da Henrik Ibsen, è un inno per la liberazione della condizione femminile dall’oppressione delle convenzioni sociali dell’epoca. Un viaggio a Napoli cambia la sua vita. Nel 1888, Anne Charlotte Leffler lascia la Svezia per accompagnare il fratello e la cognata Signe in un tour nel Belpaese. Arrivano a Napoli il 7 maggio, un giorno in cui entra in gioco il destino. La Leffler instaurò relazioni significative con intellettuali italiani, tra cui Benedetto Croce e Salvatore Di Giacomo. Quest’ultimo tradusse il suo dramma “Come si fa il bene” nel 1892, con una prefazione di Croce, evidenziando l’interesse per la letteratura scandinava e le sue tematiche sociali, Anne in Italia incontra alcuni esponenti della scuola matematica italiana e si imbatte per la prima volta in Pasquale del Pezzo, un algebrista italiano più giovane di quasi dieci anni. Si innamorano perdutamente e a nulla valgono i tentativi del fratello di lei di separarli. Gösta, infatti, decide di portare via da Napoli la sorella e fare rotta verso l’isola delle sirene per andare a salutare Axel Munthe, il medico svedese che viveva a Villa San Michele. Nemmeno un mese più tardi, però, Del Pezzo chiede ad Anne Charlotte di sposarlo: lei sfida la famiglia, rientra in patria, annulla il primo matrimonio e si converte al cattolicesimo per dire sì all’amore della sua vita.

Vittoria Aganoor Pompilj (Padova, 26 maggio 1855- Roma, 8 maggio 1910)

Poetessa (Padova 1855 – Roma 1910); di famiglia d’origine armena, sposò nel 1901 il deputato e giurista umbro Guido Pompilj, che alla morte di lei si uccise. Ebbe a maestro G. Zanella, e poi, a guida letteraria, E. Nencioni, cui fu carissima. La sua poesia, di uno spiritualismo che, pur risentendo di una certa atmosfera decadente, è testimonianza di un’autentica ansia di ricerca, toccò le sue note più alte nei toni elegiaco-amorosi della prima raccolta, Leggenda eterna (1900), che comprende anche i versi ispirati all’A. dall’amicizia con D. Gnoli (v.). Accenti poeticamente meno validi sono invece in Nuove Liriche (1908), che riflettono uno stato di vaga, e tardi conseguita, serenità (cfr. Poesie complete, post., a cura di L. Grilli, 1912, 3a ed. 1927; e Lettere a Domenico Gnoli, a cura di B. Marniti, 1967). La sua poesia “La paveja” ispirò Salvatore Di Giacomo per “Palomma ‘e notte!” , traducendola in napoletano, musicata magistralmente da Francesco Buongiovanni. I due si conobbero perché nel 1900 Vittoria pubblicò la raccolta poetica Leggenda eterna, che le valse un’accoglienza trionfale nei salotti aristocratici napoletani. In quell’occasione, Salvatore Di Giacomo descrisse brillantemente la sua presenza a Napoli in un articolo sull’Illustrazione Italiana, riportando l’entusiasmo suscitato dalla poetessa

Salvatore seduto alla sua scrivania lasciò cadere i fogli sul tavolo e si massaggiò le tempie. Le donne della
sua vita gli parlavano ancora, anche attraverso la carta ingiallita e l’inchiostro ormai sbiadito. Erano tutte lì,
nei suoi versi, nelle sue canzoni, nelle notti insonni passate a scrivere sotto la luce fioca della lampada.
Si alzò, aprì la finestra e lasciò che il vento portasse via un po’ di quella carta. Forse era giusto così. Alcune
parole dovevano restare, altre dovevano volare via. Come certi amori, come certi ricordi, come la vita stessa.


Progetto Marechiare a cura di Ciro Daniele

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